Capitolo 5

Grigio; niente più forme eteree, ma solo plumbeo, monolitico grigio. Fabio attese paziente, sicuro che qualcosa sarebbe accaduto.

All’improvviso, l’onnipresente monocroma iniziò a mutare molto rapidamente, come a presagire un qualche evento significativo. Forse una rivelazione? Un’apocalittica premonizione? Qualcosa di così strano da non poter essere neanche immaginato? No, niente di tutto questo. L’anestetico aveva quasi esaurito la sua efficacia, e quello a cui Fabio stava per assistere era solo il colpo di coda di quella potente droga: un altro, banale flashback.

Un po’ deluso per la mancanza di effetti speciali, Fabio si trovò catapultato, per la terza volta, nel suo passato.

Il vento gelido soffiava impietoso per le viuzze di Prato. Raramente il centro storico era stato così deserto di domenica pomeriggio: niente ragazzini a bighellonare in San Francesco, niente vecchietti a lamentarsi del sindaco in Piazza del Comune; in giro c’erano solo gli imbacuccati temerari che tiravano dritto per la loro strada. Fabio non aveva proprio idea del perché si trovasse al freddo invece che in un qualsiasi luogo chiuso.

«Che s’ha a fa’ festa?» urlò al suo compagno di disavventura, cercando di sovrastare il rumore del vento.

Bruno Bagonghi annuì, ben lungi da aprire bocca.

Il sollievo li pervase non appena varcarono la porta di casa Bagonghi; era solo un piccolo appartamento, ma era dotato di ogni comfort possibile — ed offriva, ovviamente, riparo dal vento. Svestito ed accomodato, Fabio offrì una sigaretta al padrone di casa; lui gentilmente rifiutò, preferendo uno dei suoi Toscanelli al caffè.

«Questo è mio, vero?» chiese Bruno, riferendosi all’accendino che Fabio gli aveva appena porto.

«Direi di no», fece lui, accennando un ghigno. «Era in mio possesso.»

Bruno gli restituì la smorfia. «Ebbene, possessore di fuoco, impossessatene di nuovo. Al volo!»

Fabio acchiappò l’accendino per un pelo. Aveva le mani congelate; resse la sigaretta fra le labbra e le mise a scaldare sotto le sue cosce. «Prato, città dello sgomento…», sibilò a mezza bocca.

«…se ‘un piove e ‘un sòna ammorto, ‘e tira vento!», gli rispose l’altro, seminascosto in una nuvola di fumo profumato. «Attento, ti sta cadendo la cenere addosso.»

Fabio riprese con cautela la sigaretta fra le dita. Guardò il suo amico attraverso la foschia: la lotta della sera precedente aveva lasciato molti segni sul suo volto. «Bada come sei conciato», gli disse con amarezza. «Non sei ancora andato a rendergliele?»

Bruno si esibì in un minaccioso silenzio, ma era chiaro che non provasse veramente rancore verso il suo aggressore. Difficilmente il buon Bruno Bagonghi si lasciava mettere i piedi in testa, ma era facile al perdono.

«Hai avuto tempo di ascoltare quel disco?» incalzò Fabio, incapace di tacere.

«Book of Souls?»

«Sì, il libraccio delle anime. Cosa significa, poi?»

Bruno sbuffò assente un’altra nuvola di fumo. Sembrava altrove con il pensiero, ma rispose: «Boh, cose di sciamani, credo. Comunque, ti dico la verità, non mi sta piacendo granché. È fin troppo…»

«Prolisso?» offrì Fabio.

«Già. I pezzi sarebbero potuti durare la metà, senza perdere nessun significato.»

«Sono d’accordo, ma nonostante questo a me piace.»

Bruno sospirò. Pareva non essere dell’umore adatto per discutere, ma l’argomento era di suo interesse; non si sarebbe sottratto al confronto di idee. Fece un altro tiro dal sigaro ed elaborò: «Ti dirò che non mi ha deluso. È perfettamente in linea con i lavori precedenti. Sono sincero, non è che avessi chissà quale aspettativa da un lavoro dei Maiden degli ultimi decenni.»

«Dai, la reunion è stata bella! Brave New World è oggettivamente un ottimo disco! Non puoi —»

Il suono del campanello li interruppe. Senza la minima esitazione, Bruno abbandonò il suo Toscanello nel posacenere e si alzò. «Anche di domenica, berva d’i’ C…!» esclamò.

«Dobbiamo proprio?» mugolò Fabio mentre si imbacuccava per uscire di nuovo.

«Sì», confermò Bruno, la voce dura come l’acciaio. «Sono infastidito quanto e più di te, ma agonizzarci sopra non cambierà la situazione. Non si fermeranno certo solo perché non gli apro la porta, hanno i loro mezzi per farsi strada dove vogliono.»

Fece una pausa per infilarsi il suo pesante giaccone invernale; quando riprese il discorso, parte della durezza era svanita. «Era scontata una loro visita, venerdì avevo i Carabinieri nel magazzino. Però dai, che cazzo! È domenica… Oh, al diavolo, non importa: lasciamogli pure dare un’occhiata, capiranno che li ho evitati e verranno a cercarmi domani.»

I due sgattaiolarono via dall’uscita secondaria, ritrovandosi di nuovo in balia del vento gelido.

Imbestialito per il freddo, Fabio si prodigò in una sfilza di maledizioni verso la razza asiatica, rea di costringerlo a sottrarsi al caldo. Ogni sillaba che pronunciava gli faceva entrare in bocca sorsi di aria ghiacciata, alimentando la sua ira.

«E basta, che sarà mai!», urlò Bruno, stufo del continuo borbottare del suo amico. «È inutile, non sei credibile, non pensi quello che dici! Il razzismo non è cosa per te. Lascialo a chi ne può fare buon uso, ai neofascisti e agli ignoranti»

«Tipo quello che ha trasformato la tua faccia in un campo minato?» lo stuzzicò Fabio.

«Tipo lui, sì.»

«In effetti ti ha chiamato — com’è che era? — ebreo di merda, o qualcosa del genere. Ti sei sentito perseguitato per la tua razza? No, perché sai, checché ne dica lui, tu non sei ebreo!»

«Stai continuando, smettila, non starò a questo gioco.»

«Che palle che fai, per due anatemi di estinzione! Che vuoi che sia il mondo senza i musi gialli?»

«Un mondo senza un quarto della sua popolazione. Odio le discriminazioni e le generalizzazioni di ogni sorta; personalmente, ritengo i cinesi ottime persone.»

Fabio sogghignò. Avrebbe riso, se non avesse temuto di inghiottire per disgrazia un’altra boccata di aria fredda; a furia di parlare aveva l’ugola gelata, ma non si rassegnò a lasciar perdere.

«Così ottime che preferisci parlarci lunedì, in ufficio, con un fucile a pompa sotto la scrivania!» ringhiò a denti stretti, beffardo.

«Questi sono cinesi un po’ più cattivi degli altri», replicò Bruno senza scomporsi.

«Maledetti loro, la loro stirpe e il giallo della loro pelle! Cerchiamo un posto al chiuso, piuttosto; questo freddo mi ha già fatto venire il mal di gola!»

«Se tu avessi tenuto sigillata quella cazzo di bocca, invece di maledire — bah, ma che te lo dico a fare?»

I due camminarono a lungo, subendo in silenzio il vento impervio. Si era quasi fatto buio quando si imbatterono in un pub che, finalmente, stava aprendo. Ci si fiondarono dentro ed ordinarono la roba più calda che trovarono sul menù.

«Prestami attenzione un momento», eruppe Bruno da dietro la sua coppa di caffè irlandese. «Ieri sei stato con Denise?»

Fabio non rispose, ma Bruno sembrò prendere il suo silenzio come una confessione firmata.

«Avrei piacere che tu non cascassi fra le braccia della prima troia che capita», proseguì. «Metaforicamente, intendo: non ho niente contro di lei, e non mi aspetto che tu cada letteralmente fra le braccia di nessuno.»

Il suo sguardo divenne improvvisamente acuto, come se volesse penetrare nella mente del suo amico con la sola forza del pensiero. «Cosa intendi fare con la Lavinia? Certe persone stanno dicendo certe cose, la situazione non mi è chiara.»

«Non è chiara neanche a me. Non so proprio che cosa dirti» rispose Fabio, controvoglia.

«Tranquillo, non devi spiegarmi niente. Volevo solo sapere se hai un’idea di cosa stai facendo, oppure agisci del tutto casualmente.»

«Agisco a caso. Contento?»

«Le mie scuse, non volevo essere inopportuno.»

«Ma che inopportuno — porcodd… quanto cazzo sei pomposo! Mi dai un fastidio bestia!»

«Allora va’ a’ ca’are, e mi vole’o fa ‘azzi tua! Contento?»

Fabio sorrise amaramente, più per apprezzare il tentativo di sdrammatizzare che per vera allegria. L’argomento lo aveva fatto piombare in un pessimo umore; non aveva voglia di rimestare ancora nel calderone dei suoi problemi, ma solo di svagarsi insieme a uno dei pochi veri amici che gli erano rimasti.

Bruno sembrò leggergli nel pensiero. «So che non vorresti parlare di questo, ti capisco.» Prese rapidamente un sorso della sua bevanda, poi riprese. «Solo che, beh, sta andando tutto ai maiali, no? Non solo a te, a tutti quanti. A me per primo! Ora ho anche le forze dell’ordine che gironzolano per il magazzino in cerca di droga! Ci mancava solo questa. Non mi resta altro che sperare che trovino solo i soldi del nero dietro la cimatrice, che sono la cosa meno illegale che tengo lì dentro! Io mi rifiuto di credere a cose ridicole come la sfortuna, ma di questo passo non saprò più cosa pensare!»

Fabio sospirò. «Dove vuoi arrivare?» chiese senza entusiasmo.

Bruno sorrise. «D’accordo, te la faccio breve: io non ho più nessuno. E anche te mi pare di capire che non sei messo tanto bene. Va bene, c’è il Brogelli, ma mi è parso di capire che gli trombi la donna. C’è l’Arrighi, c’è il Gazzi —»

«No, il Gazzi proprio non c’è!»

«Invece c’è, qualunque cosa questo comporti. Ma il mio discorso è un altro, Fabio. A questo punto, dopo tutto ciò che ci sta accadendo, chi rimarrà nelle nostre vite? Non rispondere, te lo dico io: saremo noi due, soli come bestie. Dobbiamo aiutarci a vicenda, capisci? Restiamo solo noi due. Quindi, in estrema sintesi… se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, cercherò di fartela avere.»

Fabio rimase perplesso. Che offerta era mai quella?

«Grazie per… beh, il pensiero e tutto quanto», rispose con cautela. «Mi servirebbero tante cose, e molte non so neanche che cosa siano. Sono — beh, diciamo che sono confuso, se proprio vogliamo trovare una definizione che non ci spaventi più del dovuto. Non so cosa mi serve, Bruno; non credo che tu possa darmi qualcosa se non sai cos’è.» I suoi occhi si socchiusero appena. «E comunque, visto che alla fine sei un po’ ebreo per davvero… che cosa vuoi in cambio?»

«Non ti sto offrendo qualcosa perché voglio altro in cambio!» ribatté Bruno, teatralmente offeso. «Ti sto offrendo il mio aiuto incondizionato, così che quando avrò bisogno di te, tu ci sarai! Putacaso, avrei proprio qualcosa da chiederti — ma è una mera coincidenza!»

Fabio sospirò di nuovo. «Dimmi che devo fare e lo farò. Anche io ho soltanto te, credi forse non ti farei un favore senza un tornaconto?»

«Certo che lo credo, per questo ti sto offrendo qualcosa in cambio. Parla, dimmi cosa vuoi.»

«Te l’ho detto, in pratica non ne ho idea.»

Bruno finì quello che rimaneva del suo caffè irlandese in un unico, lungo sorso.

«Prima di concentrarti sui mezzi, dovresti aver chiaro il fine», sentenziò con ostentata pazienza, come se stesse spiegando una cosa totalmente ovvia. «Mi hai detto che non sai quello che ti serve, ma io ti ho chiesto se c’è qualcosa che vuoi. So che appare strano, ma prova a partire dal traguardo: avrai pure un obiettivo, un’ambizione, un qualche desiderio che ti muove, no?»

Ci fu un lungo istante di silenzio.

Fu Fabio a romperlo: «L’unica cosa che mi viene in mente, tu non puoi darmela di certo.»

«Questo è tutto da vedere. Forza, spara.»

«Beh, voglio una nuova vita. Voglio lasciarmi tutto alle spalle, voglio imparare dai miei errori.»

Bruno contrasse il volto, probabilmente per trattenere una risata di scherno. «Cosa ti impedisce di farlo e basta?», bofonchiò.

Fabio apprezzò lo sforzo che il suo amico stava facendo per non deriderlo, ma si irritò lo stesso.

«Non hai capito», fece gravemente. «Voglio sparire. Vorrei vivere una vita completamente diversa, diventare un — un selvaggio! La caverna, la clava e tutto quanto! Non ne posso più di farmi il culo per poi vedere tutto andare a puttane! Voglio smettere di voler bene. Voglio uccidere per mangiare, non avere altra preoccupazione se non quella di procacciarmi il cibo! Voglio vedere le persone come risorse o come minacce, non le voglio più mettere sul mio stesso piano emotivo! Se solo potessi —»

Bruno alzò garbatamente una mano, sorridendo, e Fabio tacque.

«So che non ti piace quando te lo dico, ma a volte io e te facciamo pensieri molto simili», affermò. Nella sua voce era comparsa una strana nota di affezione.

Fabio sbuffò, ma non lo contraddisse.

«Consideralo già fatto», riprese Bruno. «Complimenti, adesso hai una nuova vita! Potrai uccidere per mangiare e fare tutte quelle altre diavolerie che hai detto. Spero tu non pretenda che organizzi tutto per domani, ma ti ripeto, consideralo già fatto.»

«Non ci sto cascando.»

«Non c’è niente in cui cascare. Torniamo verso casa, tanto ormai i cinesi se ne saranno andati; devo spiegarti delle cose che preferirei non fossero origliate da nessuno.»

Bruno fece per alzarsi, ma Fabio lo bloccò. «Facciamo finta per un momento che tu non mi stia prendendo per il culo. Cosa vorresti in cambio?»

«Ah, giusto!» esclamò, esibendo una finta sorpresa. «Alla luce di quello che hai detto, ciò che voglio chiederti diventa ancora più facile per te!»

Fabio inarcò le sopracciglia e non disse niente. Si fidava ciecamente del Bagonghi, ma la sua curiosità per la questione era macchiata da qualche accenno di sospetto: cosa poteva mai volere Bruno da lui? Aveva molto poco da offrirgli, purtroppo.

«Stiamo a sentire…» disse cauto.

«Ecco, bravo, stai a sentire. Tra qualche tempo, non so di preciso quando, diciamo appena ti sarai annoiato di giocare all’uomo di Neanderthal, mi piacerebbe che tu tornassi qui, a Prato, per… uhm, per fare delle cose. Sarà proprio una bella sorpresa, non sai quanto pagherei per assistere alla tua reazione!»

Fabio si accigliò. «Facciamo che non ho voglia di contraddirti, perché o non hai capito che cosa ti ho chiesto, o non ho capito io cosa mi stai chiedendo te.»

«Abbiamo capito entrambi, ne sono certo.»

«Ho capito che dovrò tornare a Prato tra qualche tempo. Vuole dire che hai un modo per farmi sparire dalla circolazione? Ti avverto, se mi dai in pasto a qualche tuo amico del cazzo e finisco a lavorare su una piattaforma nel mezzo al Pacifico, o in Uzbekistan a difendere i pozzi di petrolio dai terroristi, o qualunque altra cazzata del genere —»

«Hai già mandato in frantumi una buona metà delle soluzioni che stavo per proporti. Ma non preoccuparti, ho tante frecce al mio arco!»

«Va bene, sorvoliamo. Mettiamo per assurdo che, fra tutte le stronzate che puoi inventare, tu abbia una buona idea. Vuoi solo che prima o poi torni a Prato? Per fare cosa?»

Bruno esitò un momento, sembrando pensieroso. «Uhm… come posso imbastirtela per farti fare quello che mi serve?»

Fabio rise. «No, ma tranquillo, eh! Trama pure di fronte a me, non me ne accorgo mica!»

«So che è una cosa bizzarra ma ti prego, tienilo a mente: qualunque cosa mi sia successa quando tornerai, vienimi a trovare.»

«Tutto qui?»

«Sì. Vienimi a trovare e fuma un sigaro con me. Occhio, un Toscanello al caffè, non uno qualsiasi! A qualunque costo, non importa cosa tu debba fare per riuscirci. Lo farai?»

Fabio sbatté le palpebre, perplesso. Non capiva proprio dove Bruno voleva arrivare.

«Ma che cazzo di favore è?», sbottò.

«Per favore, dimmi che lo farai», incalzò lui. «A qualunque costo!»

«Sì che lo farò, vai tranquillo! Ma senti questo… Io l’ho sempre detto, te sei tutto matto —»

Ma era Fabio ad essere matto. Un solo momento di distrazione, un disorientamento inaspettato: Bruno lo stava strangolando con delle luci di Natale.

Non ebbe nemmeno il tempo di comprendere l’assurdità della situazione: tutto cambiò. Le cose si fecero veramente strane, il senso degli avvenimenti divenne un profondo mistero. In preda al terrore, Fabio gridò senza emettere alcun suono. Immagini e suoni vorticavano nella sua mente, sovrapponendosi e deformandosi in orribili spettri di ciò che avrebbero dovuto rappresentare.

Senza speranza, si arrese.