Cronache del Male - Vol.3

Ulrico non ne poteva più: lui e Pancrazia stavano girovagando per quel maledetto negozio da almeno tre ore. La ragazza era euforica, ma il povero Ulrico aveva passato l’ultima mezz’ora a immaginare modi per togliersi la vita.

«Oddio, questa è perfetta…!» cinguettò Pancrazia, richiamando l’attenzione del suo compagno.

«Si, tesoro, quella è proprio perfetta», gemette Ulrico, sull’orlo di una crisi. «Come quella di prima, e quella prima ancora… in nome del Cristo, possiamo scegliere e andarcene?»

Una voce sgradevole si intromise: «Non parlare così alla mia bambina! Scegliere le bomboniere è FON-DA-MEN-TA-LE!»

Ulrico roteò gli occhi, e sussurrò alla futura suocera una sequela di suggerimenti, fra cui un simpatico utilizzo di quelle dannate bomboniere. Sì, futura suocera: quel già orribile mostro stava per raggiungere la sua forma finale. Ulrico rabbrividiva ogni volta che ci pensava, ma in fondo era contento; era innamorato, non vedeva l’ora di convolare a nozze con la sua amata Pancrazia - non fosse altro che per strapparla dalle grinfie maledette di quella becera di sua madre, che come nel migliore dei cliché, non lo sopportava.

Con la coda dell’occhio Ulrico vide materializzarsi una borsetta; si abbassò in tempo per evitare il colpo, ma sapeva che non avrebbe potuto salvarsi dalla ramanzina sul come-comportarsi-che-sua-figlia-era-una-signorina-per-bene-e-lui-non-la-meritava.

Dovette intervenire Pancrazia per salvarlo dalle ire della madre.

«Mamma, lascialo in pace!», sbottò alla vecchia con rozza decisione.

«Amore, manca solo da scegliere gli inviti e poi abbiamo finito, mi aiuti?» chiese poi ad Ulrico, tutta occhioni e ciglia.

Il pover’uomo acconsentì. Era contento che la sua fidanzata fosse felice — un po’ meno per l’avere quell’impiastro sempre dietro, ma per la sua Pancrazia avrebbe sopportato. E poi, si trattava soltanto di dover stringere i denti in un ultimo, eroico sfrozo: dopo il matrimonio si sarebbero trasferiti in un’altra città dell’Impero, e la mostruosa suocera sarebbe stata rilegata a pasque e natali. Ulrico aveva infatti deciso, col pieno sostegno di Pancrazia e di sua figlia Clarabella (che, fortunatamente e piuttosto inaspettatamente, andava molto d’accordo con la fidanzata del padre), di accettare un avanzamento di carriera che lo avrebbe costretto a trasferirsi. Il pensiero di questo futuro lontano da vecchie invadenti gli diede la spinta per scrollarsi di dosso la pura disperazione, ed acconsentì ad aiutare la sua amata nella scelta degli inviti.

Dopo la fatidica scelta, costata due ulteriori ore di fatica e tempo, fidanzati e suocera si appropinquarono alla cassa.

All’improvviso, proprio quando il commesso stava per battere lo scontrino, si sentì un rumore aleggiare nell’aria. Era un strano farfugliare, come una litania, parole a caso totalmente inventate.

…Ué…

Ulrico tese l’orecchio, ma le parole erano ancora troppo basse e confuse per poterle distinguere.

…Ué guagliò…

Si affacciò alla porta e ascoltò con la massima attenzione.

…Ué guagliò, bell’ st’orolog’…

Si congelò sul posto: quel segnale poteva voler dire solo una cosa — una cosa che non gli piaceva per niente.

Pancrazia si stava già esibendo in un’ammirevole sequela di maledizioni e bestemmie; era più sveglia di Ulrico, aveva già capito cosa sarebbe successo di lì a poco. Persino il mostr- la best- la suocera stava già dando prova della sua antipatia esibendosi in un collaudato TE-L-AVEVO-DETTO-DI-NON-ANDARE-OGGI.

Le terribili parole continuarono a rimbombare nell’aria.

…Ué guagliò, bell’ st’orolog’…

L’infausta cantilena annunciava l’inizio di un’altra bellissima trovata dell’Imperatore.


Legge Bizzarra n.1106 del 38 brumaio, anno 27
DISPOSIZONI SULL'INVERSIONE NORMATIVA

Per ogni cittadino che ode il segnale n.316* tramite sistema IBS**, l'efficacia delle norme definite nella Legge Ordinaria, sia inerenti a prescrizioni che a divieti, è invertita fino alle ore 3:00 della mattina immediatamente successiva.

*(ref. Libro dei Segnali Bizzarri, sez. 3 - Inneschi per Comportamenti a Tempo Limitato)
**(ref. Codice Civile, art.9666 - Imperial Broadcasting System™)


Le leggi al rovescio, un perfetto coronamento di una perfetta giornata di merda.

Il proprietario del negozio, memore di innumerevoli giorni come quello, sfilò lesto da sotto al bancone un fucile a pompa e lo puntò contro Ulrico. «Vi lascio tutto prenotato», annunciò con lapidaria fermezza. «Ora andatevene senza toccare niente, o smetterò di fingere di non vedervi.»

La mente di Ulrico girava a vuoto. I divieti diventavano obblighi, perciò avrebbero dovuto rubare tutto quello che avevano scelto — ed il negoziante avrebbe dovuto ucciderli, o almeno provarci — anche loro avrebbero dovuto uccidere il negoziante — avrebbero dovuto uccidersi fra di loro, in effetti — avrebbero dovuto uccidere e derubare tutti — e c’erano un sacco di altre leggi da soddisfare, avrebbero dovuto formare un’associazione a delinquere, vendere organi al mercato nero, passare col rosso — che diavolo aveva in testa l’Imperatore, come poteva essere anche solo possibile avere un’idea del genere —

Pancrazia lo stava già trascinando fuori dal negozio più velocemente della luce, arraffando cose e accoppando persone.

«Ulrico, mia mamma! L’hai mollata lì!» gli urlò.

«Mai una gioia, eh?» fece Ulrico sottovoce, mentre riprendeva contatto con la realtà. «Oddio, Pancrazia! Andiamo subito a recuperarla!» esclamò sarcastico, come se avesse lasciato indietro di proposito la mostruosa suocera.

Pancrazia rise sotto ai baffi; non aveva alcuna intenzione di andare a recuperare sua madre, era sicura che se la sarebbe cavata egregiamente.

I due fidanzati raggiunsero l’esterno dell’edificio e si diressero verso la loro automobile. Ulrico era stato troppo occupato a chiedersi se avrebbero dovuto vandalizzare tutte le auto per notare a livello conscio che la sua Pancrazia aveva scassinato e messo in moto una macchina qualsiasi con l’agilità di un incallito criminale; in men che non si dica, fra bestemmie e semafori rossi, i due arrivarono a casa di Ulrico sani e salvi.

Erano già a metà delle scale quando notarono che tutte le porte del palazzo erano state scassinate, segno che qualcuno si stava fin troppo approfittato di quella giornata. Ulrico ebbe un solo pensiero: sua figlia Clarabella.

Lui e Pancrazia schizzarono su per le rampe che rimanevano e accorsero al pianerottolo di casa, trovando la porta forzata. Entrarono in punta di piedi, Pancrazia già pronta ad attaccare — aveva raccattato una pistola chissà dove e stava facendo cenno ad Ulrico di apprestarsi a starle dietro, mentre a passi felpati raggiungeva la cucina. Ulrico non capiva più niente, la sua donna era diventata un misto fra un criminale e un marines e lui cominciava a chiedersi se, dopo aver passato qualche anno nell’Impero del Male, anche lui sarebe diventato un curioso abominio.

Pancrazia si appostò al lato della porta e si portò un indice alla bocca, segnlando ad Ulrico di fare silenzio. Un silenzioso conto alla rovescia con le dita, e con spaventosa irruenza aprì la porta con un calcio e comandò con voce autoritaria: «MANI IN ALTO! SONO ARMATA! MOLLA LA RAGAZZA E NESSUNO SI FARA’ MALE!»

La scena che si parò davanti all’ardita Pancrazia le fece rompere il personaggio facendole scappare una bestemmia. Clarabella se ne stava appollaiata su di un tavolo con un badile in mano, evidentemente pronta ad attaccare, mentre un tizio enorme condivideva il pavimento con parte del suo sangue.

«Silenzio!» ammonì la ragazza, brandendo il badile contro di loro. «Gli ho dato una bella tonfata nel capo, ma se si sveglia che si fa?»

La testa di Ulrico esplose.

«Cosa… Dove… Dove diamine hai trovato un badile, tanto per cominciare?!» esclamò a metà tra lo stupito, lo spaventato e l’ammirato.

«In camera mia, ovvio» rispose pratica Clarabella.

Ulrico guardò Pancrazia, sopraffatto: doveva esserci qualcosa di sbagliato in quella ragazza, ma ripensandoci doveva esserci qualcosa di sbagliato anche nell’altra ragazza. Ma ripensandoci, forse c’era qualcosa di sbagliato in lui. In ogni caso, era così sbalordito da quella risposta che non riuscì a formulare nient’altro che un tentennante «Ehm… Sì. Ok… Ma perché dovresti avere un badile in camera tua?».

Clarabella sospirò sconfitta: abitavano nell’Impero da diverso tempo ormai, avevano già provato sulla loro pelle più e più volte le Leggi Bizzarre, possibile che suo padre non riuscisse a pensare al di fuori dei suoi noiosi schemi?

«Venite nell’Impero del Male, eh? Che vuoi che me ne faccia di un badile?! Forse mi serve proprio perché in questo paese all’avanguardia ci sono cose come l’Inversione Normativa, no?» sputò Clarabella con stizza. «Ma non li leggi proprio mai gli opuscoli che mandano? Se c’è l’obbligo di andare a rubare nelle case o di ammazzare qualcuno, non vanno dal Signor Fiascazzi del piano quarto! Vengono qua, dove ci sono io che sono una ragazza, no?»

Ulrico non disse niente, ammaliato dallo gnegnero che dismostrava sempre sua figlia. Sicuramente non aveva ripreso da lui, e grazie tante.

«Tesoro…» flautò Pancrazia, sparita nel ripostiglio e tornata con una scopa in mano. «Sù, Ulrico! Prendi il badile di Clarabella, che dobbiamo far rotolare ‘sto coso fuori di casa!»

Ulrico prese il badile dalle mani di Clarabella — che ammonì il padre con un minaccioso trattamelo bene, eh! riferito al suddetto badile — e cominciò, non senza una certa fatica, a far rotolare quel malcapitato criminale fuori dalla porta di casa.

Arrivati al pianerottolo sentirono una voce conosciuta provenire dal pian terreno: una simpatica megera stava maledicendo Ulrico e la figlia per averla abbandonata al negozio.

Ulrico e Pancrazia si guardarono. Un ghigno malvagio si dipinse sui loro volti.

Un urlo disumano si levò dalla tromba delle scale: «AAAAAH! MALEDETTI!»

«SRTIKE!» esultarono Pancrazia ed Ulrico, battendosi il cinque. Il mostr — la scimm — la zocc — la suocera era stata abbattuta.