Cronache del Male - Vol.1

«Aieeeeee!»

«Aaaaaargh!»

«Hazzaiaiaieiaaaa!!»

Ulrico cadde dal letto e si rialzò, forte dell’urlo «’io porco! Checcazzosuccede?!». Nel suo bagno c’era qualcuno che gridava, e che non accennava a smettere.

«Chi diavolo è?!» intimò l’uomo, spalancando la porta della camera.

Una voce rabbiosa rispose: «Sono io, babbo!» – Scatung! Clang! – «MAPPORC…!»

Era semplicemente sua figlia Clarabella, rientrata da ballare nel cuore della notte. Forse si stava solo facendo una doccia.

Ulrico si rilassò. Si avviò a tentoni verso il letto, chiedendo alla figlia se andasse tutto bene.

«NO! Niente va bene! É di nuovo quel giorno del mese!» rispose lei, piccata.

Il pover’uomo si bloccò nel passo: non era possibile, non di nuovo quel periodo del mese! Non era pronto ad affrontarlo di nuovo. Preso da un momento di puro spirito di conservazione, sapendo bene come la figlia diventava in quella circostanza, le chiese cauto: «Ehm… Ti - ti serve… ehm, qualcosa?»

Clarabella rispose che no, a parte un miracolo non le serviva proprio nulla in quel momento: a meno che non fosse Gesù Cristo, suo padre poteva benissimo tornarsene a dormire.

«Mi tocca pure ripulire » – SCABONG! - «’sto schifo appiccicoso… MAPPORCHIDD…!»

Ulrico se ne tornò in punta di piedi in camera, terrorizzato all’idea di urtare ulteriormente la ragazza; l’indomani si sarebbe sicuramente finto morto. Rigirandosi nel letto, ormai del tutto sveglio, rimuginò su quale terribile invenzione fossero quei giorni, e a che gran fatica comportasse l’avere una figlia con un caratteraccio del genere. Stava già albeggiando quando, finalmente, riprese sonno; ma il suo riposo era destinato a durare ben poco.

Una scia di bestemmie ed eresie varie anunciò il passaggio di una figura goffa, completamente avvolta da asciugamani. Nonostante non riuscisse a quasi a distinguerne le gambe dalla la faccia, Ulrico ebbe la sfortuna di notare l’unico lembo di pelle che sua figlia aveva lasciato scoperto.

«Perché sei… marrone?» mugolò lui, la voce impastata dal rinnovato dormiveglia.

Clarabella gli rispose a denti stretti, trattenendo a fatica la sua rabbia: «Ti ho detto prima che É-QUEL-GIORNO!»

Ulrico si alzò. «Ah» fece, stropicciandosi gli occhi. «Ma gli altri mesi non diventavi marrone! Non dirmi che è un nuovo sintomo, ti prego!»

Clarabella sospirò, sconfitta: suo padre, evidentemente, era duro di comprendonio. «Non i-miei-giorni!» strillò. «É il terzo martedì dispari del mese, la notte del tamarindo

«Oh», esclamò Ulrico, folgorato da un improvviso lampo di comprensione. Rimase interdetto per qualche istante, poi si riscosse: «Senti, ormai è quasi giorno, mi vesto e vado a fare la spesa. Sicura non ti serva qualcosa?»

«No, dovrei essere a posto», rispose Clarabella, non più arrabbiata. «Presto dovrebbe tornare l’acqua e potrò levarmi questo stupido sciroppo di dosso.»

Ulrico sospirò, e cominciò a vestirsi. Il tamarindo, pensò sgomento. Per quale diavolo di motivo una notte al mese doveva uscire del tamarindo dai rubinetti? Non poté fare a meno di chiedersi che accidenti passava per la testa all’Imperatore, ma Ulrico già sapeva che non avrebbe potuto indovinarlo nemmeno per salvarsi la vita.

Sua figlia Clarabella lo riscosse dai pensieri: «Babbo… le scarpe

Ulrico la guardò interrogativo: quale altra bizzarria si stava dimenticando?

«La luna», lo incalzò Clarabella, vedendolo bloccato.

Lui improvvisamente si ricordò. «Il primo mercoledì dopo il primo plenilunio d’autunno», recitò quasi a memoria. Sua figlia annuì, piuttosto divertita.

Rassegnato, Ulrico si tolse la scarpa sinistra e ne legò le stringhe attorno al suo collo.

«Trasferiamoci nell’Impero del Male, eh?» fece acido, parlando con nessuno in particolare. «Il tenore di vita è il più alto del mondo, dicevano. É un modello di società innovativa, dicevano.»